Un metodo indiretto molto diffuso (e forse anche il più conosciuto) di ricerca di esopianeti si basa sui transiti; questa metodologia ha origini molto antiche ed è lo stesso principio base che consente vedere sulla Terra i transiti dei pianeti interni, Mercurio e Venere, sul Sole. La sfida di calcolare in anticipo ed osservare i transiti di Venere e Mercurio è molto lunga e si collega alla definizione di unità astronomica (u.a); la sua importanza era talmente fondamentale che già nel 1600 Keplero elaborò un metodo matematico allo scopo di calcolare il passagio di Venere per gli annni successivi nazioni come Francia ed Inghilterra, in guerra per secoli per il predominio dei mari, si unirono in sforzi comuni per poter osservare il transito dai luoghi più remoti della Terra.
Il metodo dei transiti si basa sulla seguente affermazione:
Ogni volta che un pianeta si trova nella stessa direzione di vista dell’osservatore e passa davanti alla sua stella ospite, causa un abbassamento periodico della luminosità di quest’ultima secondo la sua dimensione.
Parte della luminosità della stella ospite infatti, è bloccata dalla presenza del pianeta stesso che si frappone fra l’osservatore e la stella. Da Terra, o dallo spazio, si registra quindi una variazione periodica della luminosità della stella nel tempo, pari al periodo di rotazione dell’esopianeta. Se proiettiamo la variazione di luminosità registrata della stella, vedremo che presenterà degli avvallamenti periodici nei punti in cui il pianeta transita davanti alla stella, oscurandone una parte del disco. Studiando la periodicità della curva di luce gli astronomi ricavano indicazioni sul periodo di rivoluzione del pianeta.
Ecco per esempio un’animazione che mostra un andamento tipico della variazione di luminosità (curva di luce) per un sistema con un solo esopianeta:

Nella parte superiore è rappresentata l’orbita del pianeta lungo la direzione di vista dell’osservatore, mentre nella parte inferiore viene disegnata la curva di luce rilevata da un sensore nel tempo. Dal grafico si distinguono le seguenti fasi:
- Primo e secondo punto di contatto e fase di immersione: calo progressivo del flusso di luminosità della stella.
- Luminosità più bassa per tutta la durata del transito.
- Terzo e quarto punto di contatto e fase di emersione: la luminosità della stella ospite torna ai valori iniziali.
In accordo con la suddivisione in fasi riportata sopra, per ogni transito vengono associate due durate distinte:
- la durata totale Dt (total duration) calcolata dall’inizio di diminuzione di luminosità fino al ritorno alla luminosità iniziale (ovvero dal punto 1 al punto 3)
- la durata piena Df (full duration) come periodo di tempo in cui il pianeta è completamente davanti alla superficie della stella (durata temporale del solo punto 2)
L’animazione evidenzia che le tre parti di cui si compone il grafico non sono costituiti da tre segmenti rettilinei, bensì sono in realtà delle curve. Anzitutto l’entrata ed uscita dal transito infatti NON è istantanea, occorre tempo prima che il pianeta entri/esca completamente nel disco stellare; si nota inoltre che anche l’adamento Df segue una curva. Questo effetto è dovuto al “limb darkening” (oscuramento al bordo), il fenomeno fisico per cui la luminosità della stella ospite non è uniforme su tutta la superficie, ma è più brillante al centro della linea di vista e più debole agli estremi della visione. Gli astronomi sono in grado di creare un modello statistico per valutare l’andamento della curva di limb darkening basandosi sui dati di fotometria e su altre informazioni della stella (metallicità, temperatura equivalente, gravità, …). Il modello più semplice utilizza un’approssimazione parabolica; si tratta quindi di stimare i coefficienti della quadrica a partire dai dati.
Ecco invece un esempio di curva di luce reale del sistema Kepler 324 in cui si evidenzia la periodicità di 51 giorni del pianeta Kepler 324 c. Scoperto nel 2014, con il metodo dei transiti, ha un raggio stimato pari a 3.2 raggi terrestri. Il grafico sembra diverso da quello dell’animazione, ma facendo uno zoom nelle due zone di caduta di luminosità, si ritroverebbe l’andamento dell’animazione riportata sopra (nel limite degli errori di misura).


Il grafico è stato ottenuto con uno script python che fa uso delle librerie kplr.
Dato che la frazione del disco della stella oscurata è proporzionale all’area del pianeta, la diminuzione della luminosità percentuale è funzione sia della dimensione del pianeta che della stella ospite. Indicando con la variazione di luminosità con ΔL e con Rp ed Rs i raggi del pianeta e della stella si ha che la variazione percentuale del flusso di luminosità è data da:

Dalla variazione di L (quindi dall’analisi della curva di luce registrata dal telescopio) e insieme alla dimensioni della stella (usualmente stimate grazie ai modelli di fisica nucleare), gli astronomi possono stimare la massa del pianeta. Per dare un’idea degli ordini di grandezza in gioco in termini di variazioni percentuali, ecco una semplice tabella che applica la formula prededente per alcuni pianeti del nostro Sistema Solare.
Pianeta | Raggio (Km) | Raggio Sole (Km) | ΔL/L |
Terra | 6,371 * 103 | 6,96 * 105 | 0,008379 % |
Giove | 6,9911* 104 | 6,96 * 105 | 1,0089 % |
Saturno | 5,8232 *104 | 6,96 * 105 | 0,7 % |
Dalla tabella si ricava che il calo di luminosità dovuto al transito della Terra davanti al Sole è circa 120 volte più debole rispetto a quello causato da Giove che è circa 1 %.
Il metodo dei transiti, da solo, non basta per identificare la presenza di un esopianeta: bisogna saper escludere dai dati falsi positivi ed escludere, per esempio, che il calo di luminosità non sia imputabile ad un altro fenomeno quale la variabilità intrinseca della stella (in questo caso si tratta di una stella variabile). Per questo motivo ecco che torna utile anche il metodo delle velocità radiali con il quale, assieme al metodo dei transiti, ci consente di stimare la massa del sistema. Come accennato prima, uno degli svantaggi di questo metodo è il fattore tempo: occorre studiare con continuità la luminosità della stella per una quantità di tempo abbastanza lunga, in modo da poter catturare nei dati la periodicità del transito. Tipicamente queste operazioni sono a carico di satelliti posti in posizione di vista favorevole, in cui possono sempre inquadrare il campo di osservazione con continuità tutto il giorno e l’analisi dei dati viene fatta periodicamente a posteriori una volta scaricati i dati da satellite.
L’efficacia del metodo dipende fortemente da quanto è inclinato il piano dell’orbita del satellite con il piano dell’osservatore; se è molto inclinato per esempio, allora il pianeta non riuscirà a coprire parte del disco della stella ospite e da terra, o dallo spazio, sarà impossibile notare il transito.

La figura precedente mostra i rapporti geometrici fra l’inclinazione dell’orbita del pianeta rispetto al piano di vista e le dimensioni dei due corpi celesti; affichè il transito sia possibile occorre che valga la seguente diseguaglianza:

Solo in questo caso esiste ancora una frazione della superficie del pianeta che oscura un lembo del disco stellare. Facendo alcune considerazioni geometriche (vedi la voce Riferimenti) si può ricavare che la probabilità di osservazione P (transito) di un esopianeta è pari a:

La formula precedente suggerisce che il metodo dei transiti raccoglie migliori risultati per pianeti con orbita molto stretta (a) e/o stella ospite di grandi massa Ms (Mp è trascurabile). Con il metodo dei transiti è possibile anche risalire alla composizione chimica dell’atmosfera, perché durante il transito, la luce della stella ospite, passando attraverso di essa provoca un parziale assorbimento che dipende dalla composizione chimica stessa dell’atmosfera (se presente).
Lo spettro stellare è ben noto una volta che si conosce la sua classe spettrale; questo vul dire che gli astronomi sanno quali righe di emissione/assorbimento troveranno nella banda d’analisi. Il passaggio di un esopianeta causa la variazione dello spettro poichè a sua volta causa emissioni/assorbimenti che si sovrappongono ed interferiscono con lo spettro stellare. Questo consente di fare ipotesi circa la composizione atmosferica del pianeta, la presenza di alcuni elementi chimici, ed infine (un pò utopisticamente) capire se esistono pianeti extrasolari in grado sostenere delle condizioni fisico/chimiche in grado di favorire lo sviluppo di organismi biologici.
Combinando tecniche di velocità radiale con il metodo dei transiti è possibile determinare le caratteristiche principali dell’esopianeta quali massa, raggio e densità utili per una classificazione generale.

Il primo pianeta ad essere stato scoperto grazie al metodo dei transiti è stato HD209458 b. Ad oggi (Giugno 2018) il database http://exoplanet.eu/catalog/ riporta 2813 esopianeti confermati con il metodo dei transiti; cliccando sull’immagine pdf qui sotto c’è la lista completa.
Concludendo, qui sotto si riporta una demo animata che riassume in un video quanto detto sulla tecnica dei transiti nel caso più generale di un sistema esoplanetario con N = 3 pianeti.
Il video originale si trova sulla pagina della NASA nella sezione esopianeti: https://exoplanets.nasa.gov/interactable/11/vid/transit_method_multiple_planet.mp4
Bibliografia
- Strani mondi – Ray Jayawardhana – Codice Edizioni
- Transiting Exoplanets – Carole A. Haswell
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