La metodologia microlensing sfrutta l’effetto lente, previsto dalla relatività generale e dovuto alla curvatura spazio-temporale, che un raggio di luce subisce quando passa in prossimità di un corpo celeste. Il principio su cui si basa è il seguente:
quando una stella B (lente) passa davanti ad una sorgente A sullo sfondo, B causa un’amplificazione e distorsione del segnale di luce proveniente da dietro (A); se la stella B che passa davanti ospita uno o più esopianeti, questi lasceranno un’impronta sulla curva di luce, raccolta visibile come uno o più spike (impulso) sulla curva di luce.
Poichè l’effetto di curvatura spazio temporale generato da un corpo massiccio è noto solo dai tempi di Einstein, questa metodologia risale circa agli anni Trenta del secolo scorso. Inoltre siccome un raggio di luce viaggia sempre lungo una linea geodetica della geometria spazio-temporale in cui si trova, se osservando un oggetto A massivo molto distante, vi si frappone sulla nostra linea di vista un secondo corpo celeste B, la luce proveniente da quello più distante prima di giungere a noi verrà piegata dalla deformazione dello spazio generato dall’oggetto B che si è frapposto.
Se sorgente e lente sono perfettamente allineati, la sorgente verrà ingrandita da un effetto lente in un anello circolare, chiamato anello di Einstein. La relazione geometrica fra l’osservatore O, la sorgente lontana S e la stella che ospita l’esopianeta L è la seguente:

Si può ricavare la dimensione angolare dell’anello di Einstein θE con la seguente equazione:

Dove M è la massa della lente, K una costante e (DL, Ds) sono le distanze dall’osservatore dalla lente e dalla sorgente rispettivamente. La costante:

si chiama raggio di Schwarzschild. Applicando la legge dei piccoli angoli si può calcolare anche il raggio dell’anello EL:

Per l’osservatore O è come se la luce provenisse da un angolo θE al di sopra e al di sotto la sorgente all’interno della circonferenza. Supponendo l’osservatore sia posto a sinistra nel disegno precedente, il risultato sul piano di uscita uscente dal foglio è un anello di luce che circonda la posizione della sorgente come nella seguente figura:

Dato che sia gli oggetti sotto osservazione che l’osservatore sono in moto, l’effetto lente è temporaneo e dura solo per il breve periodo di allineamento: per questo motivo l’identificazione di esopianeti pone limiti di tempo. Supponiamo ora DL = Ds = D; l’effetto lente θE di una sorgente S posta ad una distanza 2*D da noi (ovvero ad una distanza doppia di quella fra noi e lente) è riportata nella seguente tabella:
Oggetto | Ms | D | M/D | θE (gradi) | D (pc) |
Arturo | 2,14823E+30 | 3,48673E+19 | 61611573946 | 7,75E-07 | 11,3 |
Andromeda | 2,44659E+42 | 2,40368E+24 | 1,01785E+18 | 0,003148254 | 779000 |
Dalla tabella sopra riportata, è evidente che una galassia come Andromeda, seppur molto distante, crea un anello di Einstein enormemente più grande rispetto ad Arturo per un ordine di grandezza pari a 104.
La tipica curva di luce osservata è nota come curva di Paczynsky ed è caratterizzata da un veloce aumento di luminosità mano a mano che la sorgente A si avvicina all’allineamento con l’osservatore O fino a raggiungere il massimo, quindi da un ritorno al valore iniziale.

Oltre alla registrazione dell’effetto di amplificazione (e distorsione) si registrerà anche uno spike addizionale che indica la presenza di un secondo oggetto più piccolo assieme alla stella B, come mostrato nella figura seguente (ingrandimento della regione di color rosa).

I vantaggi di questa metodologia sono:
- capacità di riconoscere anche sistemi multiplanetari con una singola curva di luce (verranno registrati più spike in una singola curva di luce)
- capacità di identificazione di pianeti piccoli come quelli di tipo terrestre.
- lo studio di possibili mondi anche molto lontani da noi.
La migliore condizione di operatività per la ricerca di esopianeti consiste nel puntare i telescopi nelle zone di cielo ove esistono regioni stellari densamente popolate (perchè si tratta di regioni con elevata massa concentrata in piccole zone di spazio) oppure cercare all’interno di nuclei galattici.
l principali inconvenienti risiedono:
- nell’impossibilità di ripetizione dell’evento (spesso sono unici).
- la disponibilità a monitorare una enorme quantità di stelle alla ricerca dell’effetto di microlensing.
Il primo caso di esopianeta scoperto con il metodo del microlensing è stato OGLE-2003-BLG-253. Anche in questo caso l’attribuzione del nome segue una convenzione precisa: la prima parte del nome identifica il team che per primo ha riportato la scoperta, quindi segue il nome del secondo team che ha contribuito. Possono seguire ulteriori lettere (L, S) per indicare la lente o la sorgente seguite ulteriormente da lettere minuscole che identificano la massa del pianeta.
OGLE (Optical Gravitational Lens Experiment) e MOA (Microlensing Observations in Astophisics) sono due progetti di collaborazione che lavorano con telescopi indipendenti per ricavare fotometrie e curve di luce di eventi di lensing: OGLE è una collaborazione nippo-neozelandese mentre MOA è una collaborazione polacca statunitense che utilizza un telescopio di 1,3 m posizionato in Cile.

Ad oggi (Settembre 2018) il database http://exoplanet.eu/catalog/ riporta 80 esopianeti confermati con il metodo microlensing; ecco nell’immagine pdf qui sotto la lista completa.
Concludendo, qui sotto si riporta una demo animata che riassume in un video quanto detto sulla tecnica basata sul microlensing gravitazionale.
Il video originale si trova sulla pagina della NASA nella sezione esopianeti: https://exoplanets.nasa.gov/interactable/11/vid/gravitational_microlensing.mp4
Bibliografia
- http://spiff.rit.edu/classes/phys240/lectures/grav_lens/grav_lens.html
- http://www.planetary.org/explore/space-topics/exoplanets/microlensing.html
- https://www.researchgate.net/figure/Gravitational-microlensing-by-a-star-and-the-planet-around-it_fig3_267515440
- http://ogle.astrouw.edu.pl/ogle3/ews/2003/blg-253.html
- http://www.astronomy.ohio-state.edu/~microfun/ob06109/
Categorie:Microlensing
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