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Molti Universi – Parte II

Sebbene a partire dalla metà degli anni ’90 sappiamo che l’Universo stia ancora accelerando (e quindi creando lo spazio-tempo), alcuni ipotesi a latere della teoria dell’inflazione prevedono che alcune regioni avrebbero rallentato la loro espansione prima di altre, formando delle bolle (regioni) isolate tanto da dare luogo universi a se stanti (detto modello Universo inflazionario); si tratta di un processo inflativo inarrestabile ed eterno in grado di far emergere nuovi universi, in cui ogni bolla rappresenta un universo a se stante: noi viviamo in una di queste.

N possibili universi Ui fra loro incomunicabili. Il nostro universo reale e’ U1; gli altri sarebbero nati dal rallentamento inflattivo di alcune zone dello spazio. Disegno dell’autore.

Ed ecco quindi il collegamento con il pensiero di Everett: questi universi non esistono in uno spazio reale, ma solo in termini di probabilità; ogni volta che un osservatore (o un fenomeno fisico) provoca il collasso della funzione d’onda che descrive in maniera probabilistica lo stato quantico del sistema, nascono nuovi universi (una quantità pari al numero di eventi possibili) ognuno dei quali viene a realizzarsi un possibile esito dell’esperimento. Se per esempio consideriamo un evento descritto da tre possibili esiti, allora ogni esito si realizzerà in un universo bolla distinto U1, U2 e U3. Noi, osservatori, possiamo sperimentare solo uno di essi, pertanto sperimentiamo la presenza solo di uno di essi, quello in cui la funzione d’onda collassando ha dato luogo all’esito che abbiamo sperimentato.

Quanto puo’ essere grande ognuno di questi universi – bolla? Che relazione c’e’ fra il supposto rallentamento dell’espansione di alcune zone dell’Universo con la dimensione della bolla?

Proviamo a rispondere con delle considerazioni cosmologiche basate sull’eta’ dell’Universo secondo la Teoria del Big Bang. Per avere un’idea della grandezza del nostro Universo (e quindi un’idea delle dimensioni degli universi bolla) partiamo dalla sua eta’. Il nostro Universo possiede circa 13,7 miliardi di anni; a partire dall’era della ricombianazione (380.000 anni), esso si trovava nelle condizioni di temperatura tali da renderlo trasparente alla radiazione elettromagnetica; la luce era in grado di propagarsi nello spazio alla velocita’ c, un limite fisico invalicabile. Supponendo un Universo statico, possiamo pensare di calcolarne la dimensione con la formula s = v * c e associare tale misura alla dimensione del nostro universo bolla; un simile calcolo pero’ e’ sbagliato, in quanto non tiene conto del processo di continua espansione dell’Universo.

Consideriamo ora un osservatore posto in un qualsiasi punto P nel nostro Universo e chiediamoci quale sia la sua dimensione tenendo conto dell’espansione: esso sara’ limitato dallo spazio percorso dalla radiazione elettromagnetica che, dall’epoca della ricombinazione ad ora, e’ riuscita a raggiungere il nostro osservatore che nel frattempo si e’ allontanato a causa della creazione dello spazio – tempo dovuto alla espansione cosmologica dell’Universo. Chiamiamo questa distanza doss. La luce quindi durante il suo viaggio ha dovuto percorrere uno spazio molto maggiore rispetto all’ipotesi dell’Universo statico; questo significa che la radiazione (luce) che si trova ad una distanza superiore a doss non potra’ mai raggiungere l’osservatore. Dato che il limite doss e’ uguale in ogni direzione di vista, la regione che la racchiude rappresenta la sfera di dimensione massima dell’Universo rispetto all’osservatore locale P: tale regione di spazio-tempo si chiama universo osservabile di P. Per l’osservatore in P, potrebbero esistere oggetti celesti che si trovano sempre al di fuori del suo orizzonte osservabile (poiche’ si trovano ad una distanza ancora non coperta dal tragitto della luce, perche’ non ha avuto il tempo per coprirla) e oggetti che, in futuro, potranno sparire dal suo orizzonte cosmologico. In ogni caso, l’osservatore si trova in una regione di spazio-tempo incomunicabile con le regioni esterne al suo orizzonte cosmologico: solo cio’ che si trova all’interno di esso, e quindi all’interno del suo universo – bolla, potra’ essere non solo osservato, ma anche soggetto agli eventi ed alle leggi fisiche.

A causa dall’espansione dell’Universo, nell’intervallo di tempo (t1 – t0) la luce deve percorrere la distanza supplementare (d2 – d1). Se la creazione dello spazio-tempo avviene a velocita’ superiore di c, la luce proveniente dalla galassia G2 non fara’ mai in tempo a raggiungere G1. La galassia G2 col tempo si trovera’ fuori dall’universo osservabile doss della galassia G1. Disegno dell’autore.

Concettualmente e’ come se il nostro osservatore si trovasse all’interno di un buco nero ove l’orizzonte cosmologico rappresenta l’analogo all’orizzonte degli eventi. Tutto cio’ che vi e’ all’interno e’ misurabile in senso deterministico e in senso probabilistico in quanto racchiude tutte le infomraizoni dnecessarie alla descrizione del sistema. Alcuni ricercatori, fra cui Gott ha provato a fare una stima di massima dell’ordine di grandezza della dimensione dell’universo osservabile, e quindi indirettamente anche dell’unverso – bolla, considerando lo spazio percorso da un fotone dall’epoca della ricombinazione ad ora: il risultato e’ 92 * 109 anni luce, ove si ricorda che un anno luce e’ pari a 9,4 * 1012 Km. Complessivamente si tratta di una dimensione indubbiamente grande.

È possibile provare sperimentalmente l’esistenza del multiverso? Si tratta di un’impresa veramente ardua, visto che ogni singolo universo non può essere messo in comunicazione con altri equivalenti, tuttavia Yasunori Nomura (professore di fisica dell’Università della California a Berkeley) sostiene che la presenza di molti universi abbia influenza sulla curvatura del nostro Universo.

Visto che gli universi bolla, sebbene di dimensioni molto grandi, hanno dimensioni finite, una condizione necessaria alla validità della teoria del multiverso comporta una curvatura negativa dello spazio dell’Universo in cui viviamo. In un Universo a curvatura negativa per esempio, la luce non viaggia più in linea retta fra due punti, ma descrive una curva che rappresenta in ogni caso il percorso più breve (geodetica) all’interno dello spazio in cui è definita la metrica. Questo significa che se viviamo in un universo bolla all’interno di un multiverso allora la curvatura dello spazio del nostro Universo è negativa, ma non e’ vero il contrario: non basta una curvatura negativa per avvallare la validità della Teoria del Multiverso, in tal caso occorre valutarne numericamente la quantità.

Ad oggi, sempre grazie all’analisi della radiazione cosmica di fondo e al contributo della topologia applicata alla cosmologia sappiamo che, all’interno degli errori di misura, il nostro Universo è piatto; questo vuol dire, banalmente, che per in ogni punto dello spazio è possibile applicare il Teorema di Pitagora (con le sue conseguenze). Non possiamo per ora, ipotizzare altro se non rischiando di entrare in speculazioni, certamente la strada è ancora lunga, ma è interessante notare come una tesi di dottorato di 60 anni fa (1957), abbia ritrovato vigore in un campo così fertile come la cosmologia.

Riferimenti

Molti Universi – Parte I

Anche se puo’ sembrare una fantasia, il titolo del presente articolo potrebbe contenere un fondamento di verita’, almeno secondo le idee di alcuni riceracatori e studiosi del secolo scorso; secondo questi ultimi, il nostro Universo, potrebbe far parte di un impianto cosmologico piu’ grande in cui esistono piu’ universi. Se per qualcuno puo’ sembrare mera speculazione, per altri si e’ trattato di formulare una teoria che in modo coerente potesse estendere e spiegare due concetti attualmente fra loro incompatibili: il mondo atomico dominato dalla meccanica quantistica con il mondo della realta’ macroscopica.

Al contrario di quello che succede nel mondo macroscopico dove esiste una relazione causa – effetto, quello che succede nel mondo microscopico, a livello atomico, è legato alla meccanica quantistica, ovvero in termini di probabilità. Questa natura probabilistica è intrinseca della natura; non dipende dallo strumento di misura o dalla sua approssimazione: semplicemente esiste.

Consideriamo ad esempio la posizione di un elettrone; matematicamente è descritta da una funzione (funzione d’onda ) che e’ in relazione con la probabilità di trovarlo in una certa posizione: finché non effettuiamo la misura (la verifica di un evento) esso si trova ovunque all’interno della sua nube elettronica di probabilità.

Caratteristiche della funzione d’onda: il modulo quadro e’ proporzionale alla P(x,t) e la sua totalita’ indica la certezza dell’evento

L’elettrone si trova in uno stato di indeterminazione che viene risolto solo dopo aver portato a termine la misura: in questo modo l’indeterminazione scompare per far emergere un valore (l’esito della posizione). Semplificando, è come se la misura faccia collassare la funzione di probabilità P(x, t) al valore che l’osservatore sperimenta. La misura cambia lo stato del sistema quantistico (livello microscopico) facendo emergere un risultato ben definito nella realtà macroscopica: questa spiegazione si chiama interpretazione di Copenaghen, dal nome della città in cui negli anni ’20 Bohr, Heisenberg ed altri studiosi formularono questa idea. L’interpretazione di Copenaghen era, ed è ancora, la spiegazione più diffusa ma a partire dalla metà degli anni ’50 è iniziata ad affiancarsi la teoria del multiverso grazie ai lavori di un fisico americano Hugh Everett (1930 – 1982).

Il fisico Hugh Everett. Durante i suoi studi ebbe modo anche di lavorare sul tema della sicurezza nazionale per per il governo americano. Fonte: http://www.azquotes.com/quote/1121460

Inizialmente non venne presa molto sul serio, finché negli anni successivi le venne data maggior spazio negli ambienti accademici. Rispetto all’interpretazione di Copenaghen la Teoria del Multiverso (o Molti Universi) ha comunque il pregio – seppur non dimostrabile – di essere coerente, elegante e di cercare di uniforare due visioni differenti della Natura.

Il concetto alla base dell’ipotesi di Everett consiste nel considerare anche l’osservatore come parte integrante del sistema quantistico; in tal modo sia l’esperimento che la misura contribuiscono sullo stesso piano al collasso della funzione di probabilità. Quando l’osservatore con il suo strumento effettua la misurazione di uno stato quantico (supponiamo per semplicità di considerare solo due stati A e B) contribuisce in maniera probabilistica al risultato dell’esperimento: il fatto che noi nella realtà osserviamo il collasso della funzione in uno solo dei due stati (A, per esempio) significa che abbiamo sperimentato solo una delle due possibili realizzazioni del processo di misura (la nostra realtà), ma esisterà una seconda realtà parallela in cui il risultato della misura dello stato quantico sara’ B. In quest’ottica l’esito dell’esperimento si sdoppia in due realtà contemporanee in due universi distinti secondo la probabilità di occorrenza dell’evento; noi vivendo solo in uno dei due universi (il primo) sperimentiamo solo uno dei due (universo in cui il risultato della misura è A) senza interagire con l’altro universo che sperimenterà il risultato B.

Interazione fra mondo quantistico (a sininstra) e mondo reale (a destra). In ogni Universo si sperimenta solo uno dei possibili esiti distinti. Disegno dell’autore.

Il concetto si generalizza ad ogni possibile scelta associata alla distribuzione di probabilità: n possibili esiti ognuno di probabilità di realizzazione Pi (x) con 1 ≤ i ≤ N, daranno luogo a n possibili risultati, ognuno sperimentabile nel suo universo locale. Il film Sliding Doors (1998) rappresenta un buon esempio per spiegare questo concetto: la protagonista sperimenta due vite parallele ed indipendenti che nascono in seguito ad un evento che crea un bivio nella sua vita ad inizio film (perde il treno della metropolitana). Nella teoria dei Molti Universi ogni interazione fra il mondo quantistico (microscopico) con il mondo reale (macroscopico) causa una ramificazione della realtà in funzione delle opzioni di scelta; ogni possibile esito avrà luogo in un proprio universo distinto e isolato dagli altri. L’osservatore quindi può sperimentare solo il suo esito, quello all’interno del suo Universo – realtà.

Quale connessione c’è fra lo spazio degli eventi, e quindi gli Universi – esito, con il nostro Universo attuale in cui esistiamo? A parte speculazioni, gli astronomi hanno cercato di formulare delle ipotesi eleganti a partire dalla teoria attualmente più accreditata dell’evoluzione del nostro Universo: il Big Bang.

Dallo studio della radiazione cosmica di fondo sappiamo che l’età dell’Universo è di circa 13,8 miliardi di anni: e che a partire dai primissimi istanti dopo il Big Bang (10-35 secondi) l’Universo ha subito un’espansione enorme in un istante di tempo brevissimo (10-30 secondi) che ne ha aumentato le dimensioni di un fattore di 1030. Questa espansione, che va sotto il nome di teoria dell’inflazione, si è compiuta a velocità superluminali  (la Teoria della Relatività lo consente, in quanto solo l’informazione non può superare tale limite) ed è una dei pilastri della Teoria del Big Bang. Il significato che sottende questo processo non è ancora chiaro; si suppone sia dovuto alla rottura della simmetria delle equazioni che cercano di descrivere (dovrebbero) le interazioni fra le quattro forze fondamentali: la Teoria del Tutto

(continua).

Riferimenti

Il Modello Standard – Campi

Distribuzione dei venti

Alla fine del XIX secolo, Lord Kelvin sosteneva che oramai lo studio della fisica, dopo l’avvento dell’elettromagnetismo e delle equazioni di maxwell, aveva raggiunto ormai un capolinea; nel secolo successivo l’unico compito rimasto dei fisici per il secolo successivo era quelo di stabilire il valore delle costanti fisiche con una maggior precisione. Kelvin si sbagliava; la scoperta della radioattività richiedeva nuovi studi e le sue conseguenze portarono all’introduzione di una nuova branca della fisica: la meccanica quantistica. I due termini significano lo studio delle particelle subatomiche (quantistica) cercando di applicarvi i principi della meccanica classica.

Concettualmente molto semplice, ma in realtà Einstein, Heisenberg e Schrodinger (primi Nobel per la Fisica rispettivamente nel 1909, 1932 e 1933) mostrarono che la meccanica quantistica si rivela una materia complessa dovuta all’impossibilità applicare le teorie della meccanica classica quando si scende a livello sub-atomico Einstein, con lo studio dell’effetto fotoelettrico, formalizza il dualismo onda-particella: possiamo studiare una particella (in questo caso il fotone) guardando il loro comportamento in due aspetti diversi, a seconda dell’esperimento. Se facciamo passare un raggio di luce attraverso una piccola fenditura circolare (di dimensioni comparabili con la lunghezza d’onda) e proiettiamo il fascio che ne esce su uno schermo, ciò che vediamo è una figura di diffrazione: questo testimonia la natura ondulatoria della luce. In alternativa, se facciamo incidere un raggio di luce s una superficie metallica fotosensibile, quest’ultima emette fotoni, ovvero quanti di luce: questo testimonia la natura corpuscolare della luce. Questo effetto è alla base della meccanica quantistica che non ha riscontro analogo con la fisica classica, quella cioè studiata da Newton.

Heisenberg andò oltre: introdusse un principio noto come principio di indeterminazione che introduce un limite alla precisione di una misura che è impossibile da escludere. In fisica ogni grandezza fisica in grado di essere misurata da uno strumento di misura viene chiamata osservabile; in meccanica quantistica esistono alcuni osservabili che dipendono da altri, che sono legati in coppia fra loro. Tale concetto ha origine della non commutatività dell’applicazione di alcune coppie di osservabili con gli stati quantici. Ad esempio posizione e quantità di moto oppure tempo ed energia. Se vogliamo stabilire con precisione sempre maggiore la posizione di una particella, allora dovremo accontentarci di avere una maggior incertezza sulla sua quantità di moto (ovvero, più semplicemente, velocità) e viceversa. Se vogliamo sapere l’energia associata ad una particella, allora meno tempo impiegheremmo a fare la misura, maggiore sarà l’indeterminazione di tale valore.

L’indeterminazione degli stati coniugati di una particella non è l’unico effetto che si ottiene passando dal mondo macroscopico al mondo subatomico. Schrodinger riuscì a formalizzare la meccanica quantistica in un’equazione complessa che porta il suo nome in cui descrive la dinamica spazio-temporale di una particella. L’equazione esprime il comportamento dinamico di una particella nello spazio (x, y, z, t) dove t è il tempo; in termini di probabilità. Essendo valido il principio di indeterminazione di Heisenberg, Schrodinger associa alla particella non più una posizione, bensì una probabilità che essa si trovi in un punto dello spazio-tempo con la condizione di normalizzazione di probabilità uguale ad uno; inoltre si lega ad essa (tramite altri operatori), la densità di energia della particella.

Prima di addentrarci nella descrizione del modello standard, introduciamo il concetto di campo. Il campo in fisica è una qualsiasi regione dello spazio in cui è possibile associare ad un punto uno stato scalare o vettoriale. Il campo descrive una forza non di contatto sul quale agisce la particella.

Passiamo ad un esempio per semplificare il concetto: la distribuzione di temperatura in una stanza o nella penisola italiana è un esempio di campo scalare. Ad ogni punto dello spazio viene associato un numero che rappresenta la temperatura (indice di stato misurabile con un termometro): un punto, un valore. Ad ogni istante ogni punto del campo cambia valore (ad esempio durante la giornata sui monti o al mare), ma rappresenta sempre come varia la temperatura nel tempo. Basta un numero per descrive un campo scalare. Un altro esempio di campo scalare è il campo di Higgs.

Distribuzione della temperatura
DIstribuzione delle temperature in Italia il 13/12/2015 Fonte: 3bmeteo.com

Un esempio di campo vettoriale è la distribuzione dei venti nella penisola italiana: non basta un valore per descrivere il campo, è necessario specificare anche la direzione ed un verso del vento. Un esempio di campo vettoriale è il campo elettromagnetico o il campo gravitazionale terrestre.

Distribuzione dei venti
DIstribuzione dei venti in Italia il 13/12/2015 Fonte: 3bmeteo.com

Ogni punto del campo vettoriale sarà descritto da un vettore, ovvero da intensità, direzione, verso e punto di applicazione, che assumeranno valori diversi in ogni punto del campo (l’intensità dei venti non è la stessa per differenti zone geografiche); analogamente anche una particella subirà effetti differenti in zone diverse del campo a seconda dell’intensità della forza del capo in cui si trova. La stesa particella sarà in grado di modificare la distribuzione del campo ed influenzare così le altre particelle ivi presenti in un continuo scambio di forze.

Ogni forza elementare – e quindi particella mediatrice di forza – è associato un campo il quale interagisce con le altre particelle fondamentali, ma non solo. La meccanica quantistica ci dice ancora di più: possiamo identificare le particelle che costituiscono il modello anche come risultato di eccitazione energetiche (pacchetti di energia) del campo in cui sono immersi o con il quale interagiscono. Infatti, grazie all’equivalenza massa – energia, possiamo associare ad ogni particella un valore di energia (energia di attivazione) che la identifica e necessaria alla creazione della particella. A livello subatomico l’energia non viene misurata in Joule, bensì in un suo sottomultiplo, l’elettronvolt ovvero l’energia che acquista un elettrone quando si muove nel vuoto in un campo sottoposto ad una differenza di potenziale di 1 Volt.

(continua).