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Sistemi planetari ed esopianeti

Per studiare gli esopianeti e’ necessario prima fare un passo indietro e capire come si formano i sistemi planetari da cui loro hanno origine. Conosciamo il nostro sistema planetario: il Sistema Solare. Esso ha circa 5 miliardi di anni, ma cosa sappiamo della sua fomrazione? Che relazione c’e’ fra il nostro sistema ed uno qualsisasi? Come evolvera’? Se vogliamo capirne di piu’ ci sono due possibilita’:

  • sfruttare la potenza di calcolo di super computer per effettuare delle simulazioni numeriche. Una volta definite le condizioni iniziali si lascia evolvere il sistema definito da un sistema di equazioni (differenziali) e si analizza l’andamento nel tempo dell’evoluzione. La simulazione ci fornisce delle spiegazioni, ed ipotesi plausibili sulla formazioni di sistemi planetari ma, ha il limite di non dare informazioni su tutti i possibili scenari di evoluzione; soprattutto il risultato dipende fortemente dalle condizioni iniziali.
  • dato che non possiamo vedere evolvere il nostro Sistema Solare in deretta (perche’ avviene su scale di milioni di anni), ne’ possiamo tornare indietro nel tempo, una seconda possibilita’ consiste nella ricerca di sistemi planetari in formazione direttamente con telescopi (meglio se fuori dall’atmosfera terrestre) per aver l’opportunita’ raccogliere una vasta casistica e di studiare in diretta la loro formazione.

In generale, la nascita di un sistema planetario avviene per stadi, ma il punto di inizio sono le nubi interstellari molto fredde (intorno a 10 – 40 K). Queste polveri sono costituite al 1% da silicati e carbonio, e al 99% di gas, ma contrariamente al senso comune, sono nubi poco dense (circa 1 molecola/cm3); all’interno di questi ammassi di polveri, vi sono regioni di diversa dimensione, le piu’ piccole (una massa pari a qualche volta quella solare) chiamate globuli di Bok sono quelle che meritano la nostra attenzione.

Il processo ha inizio all’interno di queste regioni: grazie all’aiuto di eventi esterni quali il passaggio di una stella nelle vicinanze o l’onda d’urto provocata dall’esplosione di una vicina supernova, le polveri subiscono il moto caotico e iniziano a collassare e a compattarsi fra loro fino a formare un nucleo iniziale. Una volta formatosi un piccolo nucleo, per gravita’, esso continua a raccogliere polvere e materiale circostante e diventa piu’ massivo.

Il nucleo si compatta e si contrae, e di conseguenza, inizia a scaldarsi e a ruotare su se stesso sempre piu’ velocemente; come conseguenza del riscaldamento, il corpo celeste iniza ad emettere radiazione: e’ nata una protostella. Mentre il nucleo si scalda, le particelle di polvere della nube iniziale che non e’ collasata nel nucleo principale continuano a ruotarle intorno e tendono ad appiattirsi fino a formare un disco che ruota intorno alla protostella; quindi abbiamo parte del materiale cade nel nucleo, ed altro si addensa sul disco protoplanetario. Con il passare del tempo, a causa del materiale caduto in rotazione, la protostella diventa una sorgente di un campo magnetico rotante molto intenso, tanto che le sue linee di forza possiedono l’energia necessaria per espellere lungo i poli della protostella parte del materiale presente sul disco di accrescimento.

A volte il materiale espulso dai poli si scontra con il gas interstellare stazionario intorno alla stella che non ha preso parte al collasso producendo un bow shock, un’onda d’urto la cui violenza e’ in grado di scaldare il gas circostante e renderlo fortemente luminoso. Queste regioni vengono chiamate oggetti di Herbig-Halo e sono nebulose caratteristiche nelle regioni di formazione stellare.

Esempio di formazione di un sistema planetario. Fonte: https://coffeehouseapologetics.files.wordpress.com

Una volta che il disco di accrescimento si stabilizza e la stella diventa ‘visibile’ dal punto di vista di emissione termica anche nell’ottico (sono passati ormai circa un milione di anni), essa iniza un periodo molto turbolento noto come T-Tauri: in questa fase sono frequenti esplosioni di energia, emissione nei raggi X, venti e formazione di macchie sulla superficie simili a quelle solari. La stella ha ora raggiunto la temperatura e pressione necessaria per inizare la fusione nucleare dell’idrogeno in elio e si trova in equilibrio idrodinamico in sequenza principale nel diagramma H-R, ove vi rimarra’ per la maggior parte della sua esistenza. A questo punto e’ proprio dal materiale residuo sul disco di accrescimento residuo che non e’ collassato, e che non e’ stato espulso dal sistema, che nascono i sistemi planetari, ovvero:

I sistemi planetari nascono dal materiale di scarto della formazione stellare

Poiche’ la polvere subisce il fenomeno dello scattering molecolare nella banda dell’infrarosso, la registrazione di una forte emissione in questa banda ottica da parte dei telescopi e’ un forte indice di creazione planetaria in atto intorno alla stella in osservazione. Questo effetto si chiama eccesso di infrarosso: stelle con queste caratteristiche sono ottimi candidati ad ospitare esopianeti, quindi sono sempre sotto osservazione dagli astronomi.

Cosi’ come e’ accaduto per la stella, con il passare del tempo (altre decine di milioni di anni), le polveri (circa 1% in massa) si scontrano e per micro gravita’ iniziano a collassare e ad attirare altra polvere: da corpi minuscoli cominciano a diventare oggetti sempre piu’ grandi fino a diventare planetesimi. Questi planetesimi iniziano a pulire la loro orbita attirando su di se altra polvere e diventando sempre piu’ grandi tanto che diventano molto comuni le collisioni fra loro: la nostra Luna per esempio, e’ il risultato di uno di questi scontri planetari fra la Terra ed un altro pianeta di dimensioni minori. Col passare del tempo, con le loro rivoluzioni, i pianetesimi riescono a pulire le loro orbite intorno alla stella ospite dai detriti e le loro dimensioni si stabilizzano: si formano cosi’ i pianeti rocciosi di un sistema planetario.

Al tempo stesso il gas che non e’ collassato nella stella ospite (che ricordiamo costituiva il 99% della nube iniziale – una enorme quantita’) ormai entrata in sequenza principale, si muove nelle regioni esterne, dove fa piu’ freddo, oltre la linea della neve, dove puo’ solidificare e aggregarsi anch’esso per gravita’: si formano cosi i giganti gassosi. A questo punto il nostro sistema planetario e’ composto da una stella e una serie di pianeti rocciosi e/o gassosi (dipende anche dalla massa iniziale delle nube), i quali hanno raggiunto una massa considerevole su ognuno dei quali agisce l’interazione gravitazionale sia della stella ma anche degli altri pianeti (soprattutto dai giganti gassosi). Il sistema deve ancora trovare dal punto di vista energetico una valle di stabilita’ potenziale: e’ durante questa fase che le interazioni gravitazionali muovono i pianeti fuori dalle orbite iniziali per migrare su altre orbite piu’ stabili. Una volta raggiunto un equilibrio, non e’ affatto detto che sia immutabile per sempre (la soluzione al problema degli N-corpi e’ molto sensibile alle condizioni iniziali) ma possiamo dire che abbiamo ottenuto il nostro sistema planetario che per qualche milioni di anni, il nostro sistema vi rimarra’ tale.

A questo punto entrano in gioco gli astronomi che puntando i loro telescopi sulle stelle cercando di identificare la presenza di sistemi planetari in formazione, magari un esopianeta (o un sistema planetario).  Ma quali tecniche usano? Oggi ci sono metodologie molto raffinate ed efficaci per farlo; tutte presentano dei limiti e ovviamente, alcune di queste tecniche sono migliori delle altre a seconda delle caratteristiche intrinseche dell’esopianeta (distanza, massa, orbita, …). Possiamo catalogare inizialmente le tecniche di identificazione in 2 metodologie:

Metodi di indagine per lo studio di esopianeti
  1. metodologie dirette
  2. metodologie indirette.

Nel primo caso rientrano le tecniche di imaging tramite fotografia con/senza l’ausilio di coronografi, mentre nel secondo possiamo distinguere ulteriormente le seguenti metodologie:

  1. metodo della velocità radiale
  2. misure di astrometria
  3. metodo dei transiti
  4. metodo basati sul microlensing gravitazionale
  5. metodo basato sulle pulsar

Questi metodi non sono complementari, anzi, molto spesso possono essere applicati più di uno contemporaneamente per fornire un quadro più dettagliato dell’evoluzione del nostro sistema solare. Applicando per esempio il metodo dei transiti possiamo ricavare la massa (e la densità) del pianeta, con altri possiamo valutare se possiede atmosfera e formulare un’ipotesi di composizione, così pure la sua temperatura equivalente.

Ad oggi (Novembre 2017), piu’ di 3700 esopianeti sono stati catalogati ed il numero e’ in continua crescita; magari fra questi alcuni potrebbero essere buoni candidati ad ospitare la vita, chissa’ …

Allo stato attuale pero’, accontentiamoci di dire che viviamo su un piccolo pianeta roccioso orbitante intorno ad una stella di media grandezza in un posto periferico di una galassia fra tante.

Riferimenti