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La massa delle stelle

Come abbiamo appena visto, le condizioni necessarie affinché favoriscano il collasso gravitazionale della nube interstellare sono la “bassa” temperatura e la protezione della polvere interstellare dalla radiazione esterna. Sotto alcune condizioni la nube composta da idrogeno e silicati può superare una massa critica, la quale grazie all’azione della gravità, inizia a collassare e formare i primi corpi di materia.


James Jeans fu un astronomo che visse fra la seconda parte dell’ottocento fino alla metà del secolo scorso che si occupò di evoluzione stellare; in particolare formulò una relazione matematica che lega le condizioni minime di densità e temperatura che portano alla formazione di tale massa critica, chiamata in suo onore massa di Jeans.
Si tratta di un’informazione indicativa ma realistica che indica un valore di massa minimo necessario per la formazione di una stella; per valori inferiori a tale limite la gravità non riesce a vincere sulla nube che rimarrà dispersa nell’Universo.
Se la massa della nube supera la massa di Jeans il collasso ha luogo e procede accumulando sempre più materia rendendo sempre più vorace e veloce il processo; a mano a mano che aumenta la densità di materia, la temperatura al centro aumenta fino a raggiungere il milione di gradi e si accendono le reazioni nucleari.
Le reazioni nucleari aumentano la pressione e tendono a espandere e disperdere il gas, il quale a sua volta è schiacciato dalla forza di gravità degli strati superiori fino a raggiungimento dell’equilibrio fra queste due forze. Il corpo si trova in uno stato auto gravitante e in equilibrio idrostatico: è nata una stella. Tutta l’energia generata al suo interno (nel nucleo) dalle reazioni di fusioni sono disperse verso l’esterno sotto forma di radiazione e convezione fino a disperdersi nello spazio così come fa esattamente il nostro Sole. Gli astrofisici concordano che affinché nasca una stella è necessaria raccogliere una quantità di materia pari ad almeno 0.8% della massa solare; per quanto riguarda il limite massimo di massa stellare gli astronomi erano concordi nel fissare un limite superiore pari 100 masse stellari.
La quantità di massa collassante determina la anche la temperatura della stella; in termini molto semplici possiamo esprimere la seguente relazione fra massa (M), temperatura (T), energia (E) e superficie:

maggiore Massa

maggiore Temperatura

 maggiore Energia prodotta

maggiore Superficie

Infatti, occorre una maggior superficie per dissipare una quantità sempre crescente di energia prodotta nel nucleo; quindi le stelle più luminose sono anche quelle più grandi.

Finché nel nucleo ci sarà idrogeno da trasformare in Elio (oltre al rilascio di energia e la creazione di neutrini) la stella rimarrà in equilibrio e in questo stato rappresenta la fase centrale della vita di ogni stella. Più piccola è la massa (e la luminosità) e più a lungo durerà la vita della stella; per esempio stelle aventi il 10% della massa solare (quindi circa 100 volte meno luminose del nostro Sole) vivranno di più perché consumeranno 1/100 dell’energia prodotta nel nostro Sole in un tempo dieci volte più lungo. Dato che stelle come il nostro Sole ha una vita di undici miliardi di anni, stelle con massa del 10% del Sole vivranno 110 miliardi di anni.


Dato che le stelle ci appaiono sempre come punti nei telescopi come possiamo determinarne la massa? Ci sono metodi indiretti basati su occultazioni ad esempio da parte della Luna, oppure da una compagna nel caso di stelle variabili a eclissi. In alternativa ci si basa su metodi diretti, con misure interferometriche. Un terzo metodo consiste nello sfruttamento della relazione luminosità/temperatura per risalire alla massa; il quale però ha una limitazione: è valido solo per stelle che si trovano sulla sequenza principale sul diagramma Hertzsprung-Russel (ovvero sono nel “mezzo del cammin della loro vita”).

Nel caso di due stelle binarie con massa M1 e M2 che rivoluzionano intorno ad un comune centro di massa è invece possibile calcolare la massa complessiva del sistema M1+M2 a partire dalle osservazioni dei moti propri sul piano di cielo e risolvendo poi il sistema di equazioni a partire dalle leggi di Keplero:

M_{1} * d_{1} + M_{2} * d_{2} = 0 \medspace (Equazione \medspace che \medspace esprime \medspace il \medspace moto \medspace comune \medspace del \medspace centro \medspace di \medspace massa)
T^2 (M_{1} + M_{2}) = \frac {4 * \pi^2 *  {d^3}}{G} (ovvero \medspace la \medspace III \medspace legge \medspace di \medspace Keplero)

Dove d1 e d2 sono i semiassi maggiori delle orbite calcolate rispetto al centro di massa, G è la costante di gravitazione universale e d = d1 + d2 e T è il periodo dell’orbita.
Se si effettuano tante misurazioni fatte a istanti successivi, si possono misurare le variazioni angolari θ1 e θ2 dei due astri rispetto al centro di massa. Si può dimostrare che il sistema sopra citato si trasforma è equivalente al seguente:

\begin{cases}
M_{1} * \theta_{1} + M_{2} * \theta_{2} = 0 
\\
T^2 (M_{1} + M_{2}) = 4 * \pi^2 * d^3 (\theta_{1} + \theta_{2})^3/G
\end{cases}

Tale metodo però ha dei limiti dovuti all’inclinazione del sistema binario rispetto al piano di vista; ovvero quando il sistema binario non viene visto “dal di sopra” rispetto all’angolo di vista dell’osservatore, ma forma un angolo α: il metodo diventa più complicato. Un secondo limite è dovuto alla risoluzione angolare degli strumenti di misura, i quali pongono un limite alla separazione angolare fra i due astri (θ1 e θ2) indipendentemente da dove è fatta la misura: da terra o dallo spazio.