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Terra – indipendenti

Mappa geologica di Marte

Quest’ultimo passo, se e quando avverrà, consentirà agli astronauti (e quindi all’essere umano) di diventare indipendenti dalla Terra sotto ogni punto di vista (perlomeno nei giorni di permanenza nello spazio profondo, ad esempio su Marte). In ogni caso è un obiettivo a lunghissima distanza dai giorni nostri. La NASA non fa neanche una previsione futura, ma se vogliamo proporre una data, quest’ultima la collocherei dopo gli anni ’40.

In quest’ultima fase Marte gioca un ruolo fondamentale, per cui vale la pensa fare un breve richiamo di geologia marziana. La storia di Marte si divide in tre epoche principali:

  • Noachiana: da 4,5 miliardi a 3,7 miliardi di anni fa. Un’epoca in cui Marte era soggetto ad un’intensa attività tettonica e idrogeologica. E’ il periodo della differenziazione emisferica.
  • Esperiana: dai 3,7 miliardi a 3 miliardi di anni fa. Il pianeta da umido si trasforma in secco. Si ha la formazione di permafrost profondo anche 100 metri. L’acqua si nasconde nel sottosuolo e nelle calotte polari. Il clima è sconvolto dalla perdita di atmosfera marziana. Si forma il Mons Olympus.
  • Amazzoniana: da 3 miliardi di anni fa ad oggi. E’ caratterizzata dalla fine dell’attività vulcanica, presenza di tempeste di polvere e riduzione violenta del ciclo dell’acqua.
Mappa geologica di Marte
Mappa geologica di Marte. Fonte: Marte – ultima frontiera. Edizioni Il Mulino

La geologia marziana è importante perché aiuta i planetologi ad identificare un possibile luogo di atterraggio della missione marziana. Di recente (Ottobre 2016) si è tenuto un primo workshop NASA con lo scopo di identificare una lista di 50 zone candidati di possibili luoghi di atterraggio. Possiamo riassumere il risultato nei seguenti punti:

  • sono siti in una fascia di latitudine compresa fra 50° intorno all’equatore. Si tratta di una fascia dal clima più mite ed uno spessore della crosta non troppo elevata tale da poter estrarre l’acqua dal sottosuolo con “più facilità”.
  • Devono trovarsi in una zona atta a garantire atterraggi sicuri e dare la possibilità agli astronauti di condurre operazioni logistico/scientifiche con facilità.
  • Devono garantire la possibilità di estrarre tonnellate di H2O in buona quantità sia per uso quotidiano che come riserva di emergenza.

Inoltre occorre studiare e sviluppare tecnologie per l’estrazione e l’uso di risorse locali, principalmente H2O e O2, non solo per la sopravvivenza ma anche come propellente per il rientro in orbita marziana prima di affrontare il viaggio di ritorno verso la Terra. Sono ancora allo studio o in fase di sperimentazione tecniche per l’estrazione H2O dal terreno marziano ed O2 dalla tenue atmosfera marziana. Le prossime missioni (2020) porteranno con sé i primi esperimenti (MOXIE) per implementare queste tecnologie basate su celle di combustibile inversa. Per quanto riguarda l’H2O sappiamo che ce né in abbondanza in tutto il Sistema Solare, e Marte non fa eccezione. Le sonde europee e americane come le MRO (Mars Reconnaissance Orbiter) che mappano la superficie ed il sottosuolo marziano ci hanno dato conferme che l’acqua su Marte è effettivamente presente nel sottosuolo nelle basse profondità del terreno dell’emisfero boreale (si stima che si possa trovare H2O anche circa 10 metri dal sottosuolo) sotto forma di ghiaccio. Ci sono buone ipotesi circa il fatto che miliardi di anni fa la maggior parte dell’emisfero boreale fosse completamente sommerso da un oceano d’acqua profondo poco meno di 50 cm, ma quando poi il clima è cambiato, questa sia in parte evaporata ed in altra parte percolata nel sottosuolo.

Il cratere da impatto Hephaestus Fossae fotografato da Mars Express (2207), situato ad un sistema di canali. I lobi indicano che l’impatto è avvenuto in una zona molto umida
Il cratere da impatto Hephaestus Fossae fotografato da Mars Express (2207), situato ad un sistema di canali. I lobi indicano che l’impatto è avvenuto in una zona molto umida. Fonte: m.esa.int

Ora il clima su Marte è secco, freddo e arido, in cui periodicamente si sollevano tempeste di sabbia in grado di oscurare l’intero pianeta per mesi bloccando la luce solare in superficie; questo vuol dire che gli astronauti non possono fare affidamento solo sui pannelli solari per ricavare l’energia per uso quotidiano. Inoltre, poiché Marte si trova a circa 1.5 u.a. la quantità di radiazione che riceve (a parità di altre condizioni) è meno della metà di quella che riceve la Terra, i pannelli solari non garantiscono una fonte di energia continua e affidabile. Occorre portare su Marte più generatori a fissione nucleari come i radioisotope thermoelectric generator (RTG) basati su 238Pu. Anche gli aspetti di comunicazione vanno rivisti: a causa della distanza variabile Terra – Marte, la comunicazione risente di ritardi compresi fra 4 e 20 minuti: i due pianeti non sono sempre in linea di contatto diretto, quindi un sistema di satelliti, o una parziale riprogrammazione delle sonde tuttora al lavoro su Mate, è necessaria per garantire un sistema di trasmissione radio affidabile ad alta velocità con correzione degli errori.

La (sfortunata) sonda Schiaparelli ci ha ricordato anche la difficoltà di atterrare su Marte: bassa densità atmosferica e gravità di 1/3 di quella terrestre son fattori che di certo non aiutano per rallentare la velocità di discesa di una sonda, anche con paracadute aperto. Per permettere un atterraggio in condizioni di sicurezza di un equipaggio umano occorre studiare e testare nuove metodologie di rallentamento di velocità (aerobraking) che sfruttano come freno la tenue atmosfera marziana unitamente alla retro propulsione, cioè razzi ausiliari in grado di effettuare un atterraggio morbido su Marte. Il successo dell’operazione dipenderà da una navigazione precisa, dalle condizioni meteo e dalla conoscenza delle forze che agiscono sulla navicella.

Se per atterrare su Marte si richiedono sforzi tecnologici ancora in fase di sviluppo, lo stesso possiamo dire per la fase di rientro a Terra. Si suppone (perché ancora nulla è definito, ci sono solo ipotesi in merito) che il rientro da Marte avvenga in due fasi: una prima fase gli astronauti lasciano il suolo marziano con un veicolo di ascensione chiamato MAV (Mars Ascending Vehicle – di cui non esiste ancora alcun progetto) fino ad effettuare un rendevouz in orbita marziana con il veicolo di supporto costituito dal modulo abitativo, il modulo SM e CM della Orion; questo complesso viene spesso chiamato ERV (Earth Return Vehicle). A questo punto, una volta trasferiti gli astronauti nel modulo abitativo, sganciato nuovamente il MAV e posto in orbita di parcheggio marziana, gli astronauti possono lasciare l’orbita marziana per il viaggio di ritorno secondo precisi trasferimenti orbitali (orbite di trasferimento a minima energia nello spazio 3D) fino al rientro nei pressi del sistema Terra – Luna. Si tratta di una fase che, si pensa, sarà affrontata nel decennio degli anni ’30, ma le agenzie spaziali hanno definito, anche in questo caso, delle linee guida/caratteristiche che il MAV dovrà/potrebbe avere:

  • Potrebbe essere un modulo pre assemblato ed inviato dalla Terra assieme alla strumentazione con una serie di vettori SLS – cargo negli anni precedenti la missione umana.
  • Dovrebbe essere in grado di recuperare il combustibile da solo, estrarlo dalla superficie/sottosuolo/atmosfera marziana e stivarlo in un luogo sicuro per anni.
  • Il MAV dovrà garantire l’operatività per anni nello spazio sotto l’effetto di radiazione e agenti atmosferici marziani.
  • Il MAV deve garantire la sopravvivenza fino alla fase di rendevouz in orbita marziana con l’ERV. Una volta esaurito il suo compito sarà mantenuto in orbita marziana di parcheggio.
Prototipo Earth Return Vehicle: SM, CM (Orion), habitat e MAV
Prototipo Earth Return Vehicle: SM, CM (Orion), habitat e MAV. Fonte: edizione italiana de http://www.nationalgeographic.it – Novembre 2016

Abbiamo quindi tutti gli elementi da mettere insieme per ipotizzare un possibile scenario di missione. Ovviamente non c’è ancora nulla di definitivo (troppo presto) ma, anche qui, possiamo idealizzare come avrà luogo una possibile missione umana su Marte. Quello che segue è solo una delle tante ipotesi che prevedono l’utilizzo di tecnologie descritte nei paragrafi precedenti.

  • Decenni prima della missione umana, e una volta identificato il luogo di atterraggio, una serie di lanci a cadenza programmata (sfruttando le opposizioni marziane) con vettori SLS cargo premuniranno a portare le attrezzature, strumentazioni su Marte e il MAV in orbita marziana. L’uso della tecnologia SEP sarà fondamentale.
  • Al momento opportuno, dalla Terra una serie di vettori SLS porterà in orbita lunare DLRO i moduli abitativi, mentre in seguito, un secondo vettore SLS porterà in orbita terrestre gli astronauti all’interno di una navicella Orion (SM e CM).
  • Una volta testata la strumentazione di bordo gli astronauti proseguono per un rendevouz in DLRO (o dopo lo spostamento in orbite HEO) per agganciare il modulo abitativo. Da qui si inseriranno in orbita di trasferimento per Marte con tecnologia chimica (non SEP) fino a entrare dopo 7/9 mesi di viaggio in orbita marziana.
  • Rendevouz in orbita marziana con il MAV e discesa su Marte e permanenza di circa 500 giorni sul suolo marziano (sopravvivere per tutto questo periodo); quindi ascesa con MAV e incontro con l’ERV. Il MAV si sgancia e si metter in orbita di parcheggio per essere riusato in un futuro.
  • Inserimento in orbita di ritorno per la Terra, e dopo 7/9 mesi di viaggio, rientro in orbita DLRO lunare, dove è posto il modulo abitativo e il SM. La sola navicella Orion (CM) s’inserisce in orbita di trasferimento terrestre e ammara nel Pacifico.

Come si vede, si tratta di una serie di operazioni complesse che non appartengo ancora al bagagli o di competenze attuali, visto che ancora deve essere sviluppata o testata la tecnologia su cui si basano. Tuttavia, come dice la NASA, Marte è un obiettivo molto ambizioso e “alla nostra portata”. Occorre sicuramente tantissimo denaro (centinaia e centinaia di miliardi di dollari) ma soprattutto una ferrea forza di volontà. Si tratta di un obiettivo che, se attuato, vedrà coinvolgere paesi e culture differenti, per collaborare per un unico grande e nobile obiettivo: la sopravvivenza del genere umano. Nello spazio, infatti, la collaborazione è necessaria per il raggiungimento di un obiettivo: non esistono frontiere o muri che dividono perché tutto, anche l’operazione più banale, può essere complicato e diventare fonte di problemi.

Un’ultima osservazione: quando si parla di “andare su Marte” viene da chiedersi perché spendere soldi per andare su un altro pianeta? Ebbene, la risposta è semplice: per migliorare la qualità della vita sulla Terra. Gli investimenti in tecnologie spaziali hanno sempre ricevuto, ancor prima delle missioni Apollo, un enorme ritorno in tantissime aree. Il fatto di portare l’Uomo ai suoi limiti, impone lo sviluppo di nuove metodologie cui tutti usufruiranno nella vita di tutti i giorni: riciclo dei rifiuti, produzione di cibo, tecnologia medica, trasporti, sostenibilità ambientale, elettronica, medicina, biotecnologie, IT ….


La NASA mantiene un sito (spinoff.nasa.gov) in cui elenca annualmente tutti brevetti che sono stati registrati  in diversi ambiti grazie agli investimenti ndell’industria aerospaziale (è già disponibile quest’anno quello relativo del 2016).  Infine, lo spazio è anche prestigio e lustro per i paesi che investono nei progetti che partecipano all’obiettivo.

Riferimenti e bibliografia

Preparare il terreno

Vettore SLS

Oltre alla progettazione e collaudo di sistemi vitali per la sopravvivenza dell’essere umano nello spazio profondo e su Marte, è necessario avere un vettore in grado di portarci in orbita marziana.  Lo sviluppo di un razzo pesante congiuntamente ad una navicella per l’equipaggio umano rappresenta il secondo dei tre passi fondamentali per pensare un domani, di portare l’Uomo su Marte (Providing Ground). Le tre milestone non sono indipendenti e sono portati avanti con sforzi notevoli dalla NASA assieme ai maggiori carrier aerospaziali americani ed europei.

Facciamo un passo indietro: il progetto Constellation, che sembrava definitivamente chiuso dal Congresso, ha ripreso vita nel 2010 con il nome #JourneyToMars. All’interno di questo progetto la NASA ha ricevuto il via libera per la costruzione di un razzo vettore pesante e di una capsula di trasporto dell’equipaggio. La NASA ovunque non usa esplicitamente il termine Marte, usa lo slogan “Luna, spazio profondo e oltre”, lasciando intendere che tutto ciò che è sviluppato per il progetto #JourneyToMars sarà usato per preparare il terreno per una futura missione umana su Marte.

Preparare il terreno: la NASA sta procedendo in maniera spedita alla costruzione della capsula Orion, la quale rappresenterà il modulo di comando per viaggiare nello spazio profondo. La capsula ricorda molto da vicino le capsule Apollo utilizzate per le missioni lunari degli anni ’60, di cui è l’erede, ma è un po’ più grande. L’Orion, infatti, avrà un volume di cica 9 m3 e sarà in grado di ospitare un equipaggio da due a sei astronauti. Ha un diametro di 5 m; questo vuol dire che è grande circa una volta e mezzo la capsula Apollo, e come quest’ultima, è riutilizzabile. Il primo test sul campo è già stato compiuto il 5 dicembre 2014, quando l’Orion, lanciata da un razzo Delta IV, ha percorso due orbite intorno alla Terra all’altezza di 5800 Km prima di ammarare nel Pacifico (test ETF-1). Unitamente al modulo di comando, l’ESA sta progettando il modulo di servizio (SM), il quale avrò il compito di fornire energia (pannelli solari), propulsione, H2O e O2 alla capsula. l contraenti del progetto sono la Lockheed Martin (CM) e l’ESA (SM).

La NASA sta lavorando anche a un nuovo vettore di lancio (da quando ha dismesso lo Shuttle, non ne ha neanche uno) in grado di portare l’Orion fuori dall’orbita terrestre. Si tratta dello Space Launch System (SLS) la cui avionica è sviluppata dalla Boeing e i razzi di propellente solido sono in appalto alla Orbital ATK.

SLS sarà disponibile in diverse configurazioni:

  • SLS Block 1: è la versione ‘base’ del vettore. Alto 98 metri è in grado di alloggiare al suo interno la capsula Orion. Con un peso di 2608 t, sarà in grado di generare una spinta del 15% in più del Saturn V (quello usato dalle missioni Apollo). La sua capacità di carico (70 t) sarà circa 3 volte quello dello Shuttle. La versione base avrà un secondo stadio basato su Interim Cryogenic Propulsion Stage (IPCS).
  • SLS Block 1B: Questa versione alta 110 metri, possiede anche uno stadio Exploration Upper Stage (EUS) addizionale per un payload aggiuntivo di circa 115 t. Si può pensare che tale stadio venga utilizzato per portare in orbita un modulo abitativo per gli astronauti.
  • SLS Block 2 Cargo: con 110 t di carico, è la versione SLS più grande e rappresenta il cavallo di battaglia della NASA per le missioni Deep Space per il trasporto moduli, habitat, MAV (Mars Ascending Vehicle).
Vettore SLS
Vettore SLS nelle diverse configurazioni di progetto. Fonte: https://www.nasa.gov/exploration/systems/sls/

Il vettore SLS sarà alimentato da due booster a stato solido a cinque segmenti laterali, e da quattro motori RS 25. Si tratta di motori già usati dallo Space Shuttle e aggiornati e riadattati per l’SLS; data la loro longevità d’uso (più di 30 anni di esperienza) si tratta di motori molto affidabili con più di 3000 accensioni per un totale di un milione di secondi di operatività. Una volta terminato, sarà il razzo più potente al mondo.

Il propulsore dello stadio centrale, e quindi dell’EUS, sarà alimentato invece da 4 motori RL 10; anche in questo caso la NASA ha fatto puntato sull’affidabilità. Si tratta di un propulsore risalente agli anni ’50, già usato per le sonde Voyager e per la New Horizons (quella che ha effettuato il fly – by a Plutone). Utilizza H2 e O2 come carburante / ossidante, ha affrontato più di 400 voli e 3 milioni di secondi di operatività. Il testing e la certificazione del motore è affidato alla Aerojet Rocketdyne.

I razzi a propellenti solido/liquido sono fondamentali per mandare in orbita una sonda, una capsula o anche un modulo abitativo, tuttavia, possiedono costi elevatissimi. Bisogna tener presente che la massa di un razzo è rappresentata dall’85% al 95% dal carburante (dipende se combustibile solido/liquido), quindi vuol dire che su 100 Kg di razzo, solo 10 Kg sono disponibili per il carico utile. In ottica di una missione su Marte si rende necessario spedire con congruo anticipo (e rispettando le finestre di lancio disponibili) le attrezzature, la strumentazione scientifica, … e utilizzare reazioni chimiche che avvengono nelle camere di combustione dei razzi (perché questo si tratta) avrebbe un costo molto alto. Per questo la NASA ha esteso il campo di ricerca della propulsione alla Solar Electric Propulsion (SEP). La SEP usa energia solare per accelerare particelle ionizzate di Xenon (Xe) a velocità altissime; delle celle solari raccolgono raggi solari e li trasformano in energia elettrica. Questa energia è immessa in una cella ad alta efficienza che garantisce una piccola accelerazione ininterrotta; gli elettroni, intrappolati in un campo magnetico, sono usati per ionizzare Xe fino allo stato di plasma che viene espulso dagli ugelli. Per il principio di azione e reazione, la sonda/navicella riceve una spinta in direzione opposta. Il vantaggio principale è che si basa su una tecnologia riusabile ma richiede la progettazione di pannelli solari ad alta efficienza, resistenti e affidabili. La SEP garantisce un’accelerazione piccola ma costante per periodi lunghi. Si può pensare di renderla utilizzabile come mezzo di propulsione dell’ultimo stadio di un vettore cargo per il trasporto del payload necessario per una missione marziana, quali habitat, MAV, orbiter marziani. In generale tutta l’attrezzatura che, con largo anticipo, sarà inviata su Marte in attesa dell’arrivo di equipaggio umano.

Un altro aspetto da non trascurare risponde alla domanda seguente: con quali tute gli astronauti useranno sulla superficie marziana? Problema da non sottovalutare, in quanto, tutte le tute usate per le esplorazioni spaziali dagli anni ’60 ad oggi sono monouso e non sono progettate per essere manutenute dall’equipaggio. In caso di problemi, si riportano a Terra e, nel frattempo, si usa quella di riserva. Una cosa del genere in ottica marziana non è proponibile, bisogna rivedere e riprogettare il concetto di tuta spaziale. La NASA ha ideato una serie di tute note come famiglia Z, che cerca di rispondere a questa caratteristica, insieme ad altri requisiti  considerati basilari. Le nuove tute (l’ultimo prototipo si chiama Z2) devono fornire un supporto vitale primario all’astronauta PLSS (Primary Life Support System).

Le caratteristiche principali delle tute Z possono essere così riassunte:

  • Possedere la capacità di rimozione della CO2 (ricordiamo che il 98% dell’atmosfera marziana è composta di anidride carbonica).
  • Proteggere gli astronauti dalle radiazioni.
  • Controllare umidità e temperatura per un confort ragionevole.
  • Avere una grande durata di utilizzo e garantire comunque una buona mobilità.

Un aspetto che finora abbiamo trascurato nella descrizione degli aspetti di missione è l’alimentazione. Possiamo anche avere la tecnologia per costruire il razzo più potente, la tuta/habitat in grado di proteggerci dalle radiazioni, ma se non ci preoccupiamo dell’alimentazione non possiamo neanche raggiungere la Luna.

Che cosa mangeranno gli astronauti per tutta la durata del viaggio e la loro permanenza su Marte? Anche in questo caso è impossibile pensare di portare tutto il necessario “da casa”: semplicemente non è proponibile e impossibile da conservare.  L’unica soluzione (per ora) plausibile si basa su fatto che gli astronauti dovranno imparare a coltivare, crescere e procurarsi il cibo a bordo ed in situ. Parte de cibo può essere indubbiamente trasportato in forma di barrette altamente energetiche (700/800 al), e su questo, la NASA sta già lavorandoci in vista delle prime missioni della Orion (anni ’20). La coltivazione del cibo nell’habitat e su Marte è una delle sfide più complesse di tuta la missione. Già oggi sull’ISS ci sono esperimenti in corso che riguardano la crescita di verdure, pomodori, crescione ed alcuni legumi (esperimenti VEG1, VEG2, VEG3), con coltura idroponica sotto illuminazione a led artificiale.

I risultati sono buoni, nel senso che il cibo è edibile ma su questo fronte siamo solo ad uno stadio embrionale. L’uso dell’acqua per la coltura idroponica raggiungerebbe anche lo scopo di creare una naturale schermatura dell’habitat dalle radiazioni esterne, oltre ovviamente a creare un hobby per gli astronauti. Per quanto riguarda la coltivazione di prodotti agricoli su Marte, siamo ancora nelle ipotesi. Nonostante sappiamo che su Marte esistono tutti gli elementi nutritivi di cui una pianta ha bisogno, certamente non lo sono nelle giuste quantità, proporzioni e distribuzione sulla superficie. Tra l’altro si pensa che sotto la superficie di Marte l’acqua  (presente in abbondanza) sia contaminata da perclorati (ClO4). SI tratta di composti buoni per i razzi (sono ottimi propellenti) ma molto tossici per l’ambiente e per l’uomo. Essi, infatti, si accumulano nel collo e, col procedere, possono provocare tumori alla tiroide. Siccome ancora su Marte non possiamo fare esperimenti di questo tipo, gli scienziati stanno cercando di riprodurre una coltivazione marziana sulla Terra in ambiente simulato, in altre parole in un terreno molto simile a quello marziano ottenuto basandosi sui dati di spettroscopia inviate dalle sonde che lo stanno mappando (come la MRO).

Dove invece negli ultimi anni la tecnologia spaziale ha fatto progressi, è nella costruzione di moduli abitativi gonfiabili per l’ISS. Siccome si gonfiano nello spazio, questi occupano un volume molto ridotto quando sono stivati nel payload del razzo. L’azienda Bigelow Aerospace ne ha prodotti diversi in altrettante misure che possono contenere fino a sei astronauti; alcuni di essi sono stati già testati nel 2016 come moduli aggiuntivi agganciati all’ISS con discreto successo. Un secondo a altrettanto valido test per questi moduli, ed in generale per tutta la tecnologia spaziale sviluppata nei decenni a venire, sarà quello dello spazio profondo. Senza addentrarci in una missione di test su Marte, e prima di una missione del tipo “prova generale” su un satellite di Marte, un buon campo di prova è lo spazio nell’intorno dell’orbita lunare. Si tratta di una serie di missioni (EM1 ed EM2) in una zona di spazio in cui è possibile inserire in orbita lunare un corpo di massa modesta (rispetto alla Terra, Luna e il Sole). Stiamo parlando di orbite DLRO (Distant Lunar Retrograde Orbit): orbite temporaneamente stabili su breve periodo (centinaia di anni) in cui consolidare tutte le competenze acquisite e le tecnologie implementate.

L’orbita (prograda) si trova in un intorno della Luna a una distanza di circa 40000 miglia, oltre i punti lagrangiani L1 e L2 del sistema Terra – Luna. Il progetto di missione si chiama ARM (Asteroid Redirect Mission) e consiste nell’invio di una sonda presso un NEO (Near Earth Object), prelevare da esso un masso e porlo in un’orbita DLRO. In seguito, una missione umana, raggiungerà il nuovo satellite artificiale, per testare le capacità in situ di analisi/perforazione e riportare a terra una tonnellata di roccia.  Si tratta di una missione ambiziosa che intende dimostrare:

  • La capacità di lavorare nello spazio profondo con una missione di lunga durata ad una distanza di pochi giorni (circa 10) dalla Terra.
  • La capacità di rendevouz e di estrazione materiale.
  • Le capacità di comunicazione ed EVA in spazio profondo.

L’esito positivo di queste missioni consentirà all’industria aerospaziale, di affrontare il terzo ed ultimo passo del progetto marziano: indipendenza terrestre.

(continua)

Riferimenti e bibliografia

Terra – dipendenti

La Terra vista da Marte

Ora che sappiamo almeno quando sfruttare le finestre utili di lancio per una futura missione su Marte, tralasciamo per ora gli sforzi economici e affrontiamo il problema realizzativo dal puro punto di vista tecnico/scientifico. Possiamo dire che comunque richiede uno sforzo notevole; per questo è opinione della NASA che il progetto di missione va pianificato con estrema cautela e nei minimi dettagli.

La NASA, con il NASA Authorization ACT del 2010 ha intrapreso un lungo progetto chiamato #JourneyToMars, con lo scopo di sviluppare le capacità tecnologiche in grado di portare un equipaggio umano su un asteroide negli anni ’20, quindi, un possibile equipaggio umano su Marte dopo gli anni ’30. E’ un progetto di lunga durata molto ambizioso la cui riuscita, unitamente ad una ferrea forza di volontà, dipenderà anche dai finanziamenti che il Budget federale le mette a disposizione e dalla collaborazione delle altre agenzie spaziali (ESA, Roscosmos) e compagnie private (SpaceX). Il piano della NASA si sviluppa in tre passi fondamentali: Earth Reliant, Providing Ground, Earth Indipendent. Vediamo di spiegare gli obiettivi che si intende raggiunge ad ogni passo.

Noi siamo Terra – Dipendenti: è un dato di fatto. Siamo evoluti e adattati su questo Pianeta in base ai cambiamenti ambientali cui è stato sottoposto per 4,5 miliardi di anni. Per affrontare lo spazio è necessario investire in tecnologie che ci permettano di vivere all’esterno dell’atmosfera terrestre e di testare i risultati non solo in un ambiente simulato, ma anche nello spazio vero e proprio. Dal Novembre 2000, esiste un avamposto spaziale ininterrottamente abitato che orbite sopra la nostra testa a un’altitudine di circa 400 Km: si tratta della ISS. Essa rappresenta un valido campo di prova per testare le apparecchiature scientifiche e tecnologie necessarie per affrontare lo spazio là fuori; inoltre è un banco di prova essenziale per valutare quali sono i cambiamenti biologici e sociali dell’essere umano nelle missioni di lunga durata. L’obiettivo della NASA è prima di tutto sfruttare l’operatività dell’ISS almeno fino al 2024 (durata teorica della stazione spaziale), favorendo anche l’ingresso di società private (ad esempio SpaceX) nel trasporto di attrezzature, risorse ed equipaggio da e verso orbite LEO (Low Earth Orbit) come quella dell’ISS.

L’ISS, che si trova a poche ore di volo dalla Terra (6 ore con una Sojuz), consente di fare attività utili riguardo test su materiali, sistemi di controllo ambientale, riciclo, sviluppo di sistemi per lo spazio profondo, sistemi di life support (tutto ciò che consente all’essere umano di sopravvivere in maniera autonoma in ambiente di microgravità). Nonostante la vicinanza relativa dell’ISS, gli astronauti affrontano in ogni caso una sfida ad altissimo rischio; in previsione di viaggi più lontani (come ad esempio più in la della Luna) e per periodi più lunghi uno studio della NASA ha classificato i potenziali rischi in cinque categorie di base.

I rischi nello spazio, secondo uno studio della NASA
I rischi nello spazio, secondo uno studio della NASA. Fonte: nasa.gov
  1. Livello di radiazioni
  2. Assenza o ambienti con bassa gravità
  3. Isolamento
  4. Distanza
  5. Ambiente chiuso e ostile

Radiazioni: nello spazio, gli astronauti si trovano in un ambiente ad alto rischio radiativo, dovuto dalla presenza di due sorgenti principali. La prima è il Sole: periodicamente esso espelle un’enorme quantità di materia che sprigiona un’enorme di energia. Ogni qualvolta avviene un CME (Coronal Mass Ejection), o un flare solare, gli astronauti sono investiti da una miriade di particelle cariche (perlopiù protoni) dannosi per la salute. Nella maggior parte dei casi sono schermati dalla struttura della navicella; inoltre è possibile formulare dei modelli che parzialmente consentono di prevedere questi fenomeni per tempo. La seconda sorgente sono i raggi cosmici, dai quali è più difficile da proteggersi: non si tratta solo di protoni ma anche di nuclei di He che possono colpire la navicella anche a velocità prossime a quella della luce.

Noi sulla Terra siamo protetti dalla magnetosfera, una zona dinamica dello spazio controllata dal campo magnetico terrestre la cui forma è modellata dal vento solare, mentre per gli astronauti in un’astronave in viaggio verso Marte, se non ci sono schermature, sarebbero molto pericolose. Il corpo umano sarebbe in serio pericolo perché procura danni alla salute. Così come ha mostrato un recente studio su topi maschi, (NG di Novembre 2016), l’esposizione per lunghi periodi a dosi elevate di radiazioni porta a:

  • Ansia e disturbi cognitivi.
  • Depressione
  • Capacità decisionali compromesse.
  • Rischio di cancro, nausea, vomito anoressia e insonnia.

Quali sono le possibili soluzioni allo studio?

  1. Aumentare la massa del materiale di cui è rivestita l’astronave; ma questo vuol dire aumentare anche la massa del carico da portare in orbita e quindi maggiore costo. I costi per mandare in orbita una sonda/ astronave dipendono (anche) da quanta massa è costituito il razzo. Per massa intendiamo tutto compreso, quindi sia propellente sia carico utile (payload). Una conseguenza dell’equazione fondamentale del razzo (legge di Tsiolkovsky), segue che la maggior parte della massa è data dal propellente in una percentuale che varia da 85% al 95% a seconda che si utilizzi propellente liquido o solido. In ogni caso, questo vuol quasi dire che circa il 90% del peso è a perdere perché è combustibile che brucia. E’ d’obbligo ottimizzare al meglio la quantità di carico da portare in orbita, altrimenti i costi crescono, e di parecchio.
  2. Una seconda soluzione è di rivestire l’astronave con una sostanza, i cui elementi costituenti, siano (circa) dello stesso ordine di grandezza delle particelle che la colpiscono. Per esempio si può pensare di rivestire l’interno dell’habitat di H2O in maniera opportuna. Questa soluzione ha un duplice scopo: oltre a proteggerci dalle radiazioni, consente agli astronauti di coltivare in loco (parte) delle risorse alimentari di cui hanno bisogno per il viaggio. E’ impensabile, infatti, considerare di trasportare tutte le scorte alimentari per un viaggio di circa 1000 giorni. Certamente, dovranno portarsi da Terra cibi molto energetici disidratati da scaldare al momento, ma provvedere alla propria salute coltivando ortaggi e verdure garantiscono l’auto sostentamento e alza il morale.
  3. L’ultima soluzione c’è data dalle nano tecnologie: si pensa di creare materiale costituito da nano tubi di carbonio, boro e azoto, in cui intrappolato nella struttura atomica interna c’è un atomo di idrogeno n grado (per urti) di respingere le radiazioni.

In ogni caso, per maggior sicurezza, la NASA pensa che una soluzione integrativa possa venirci di aiuto con la farmacologia, con un trattamento medico con pillole.

Gravità: siamo così abituali alla gravità sulla Terra sin da quando siamo nati, che ci rendiamo conto in poche occasioni (quando soffrite di mal di schiena la gravità si sente eccome !!!!). Ma nello spazio, e in ottica di una missione di andata e ritorno da Marte, gli astronauti devono trascorrere il viaggio a gravità zero, arrivare su Marte con una gravità circa 30% di quella terrestre, quindi nuovamente a gravità. L’assenza di gravità, o anche solo la permanenza in ambienti di microgravità come l’ISS, influisce negativamente sull’orientazione spaziale, sulla vista e sull’equilibrio. Le ossa perdono minerali, la densità ossea diminuisce di circa 1% al mese con il rischio di osteoporosi.

I muscoli si atrofizzano, quindi è necessario fare una continua attività fisica giornaliera per rimanere in forma; i bulbi oculari s’ingrossano, col risultato che cambia la qualità della vista (la gradazione degli occhiali da vista non va più bene). Per recuperare il calcio perso bisogna integrare l’alimentazione con vitamina D, inoltre il comportamento dei fluidi nello spazio in ambiente di microgravità è diverso da quello terrestre. Questo significa che il sangue scorre in maniera differente, tende ad accumularsi verso l’alto (la gravità è minore), quindi il viso tende a ingrossarsi. Il sangue è costituito anche dall’emoglobina, cui si lega il ferro (che serve per trasportare l’ossigeno). Un accumulo di sangue comporta anche un accumulo di ferro; quando il Fe è in eccesso, gli organi non funzionano più bene, s’ingrossano e si rischia l’emacromatosi.

Tim Peake ha corso la maratona di Londra
Tim Peake ha corso la maratona di Londra 2016 in 3h 35m dalla ISS. Fonte: BBC

Isolamento: per più di 1000 giorni un gruppo di persone sono state rinchiuse in un ambiente ristretto dell’habitat o confinate in un ambiente ostile come quello marziano isolate da tutti. Per la buona riuscita della missione è fondamentale la cooperazione fra tutti gli elementi dell’equipaggio, quindi bisogna cercare di evitare problemi di umore e ridurre gli attriti dovuti a problemi interpersonali. Bisogna collaborare per la sopravvivenza. A oggi una delle missioni umane nello spazio di durata più lunga è quella di Scott Kelly e Michail Kornienko: 340 giorni nello spazio, circa 1/3 della durata di una missione marziana (essendo inoltre al riparo da radiazioni). Scott Kelly inoltre possiede un fratello (anch’esso astronauta) e questo ha permesso ai ricercatori della NASA di cogliere “due piccioni con una fava”, poiché hanno potuto studiare meglio gli effetti della lunga permanenza spaziale di Scott per confrontare i risultati con quelli di suo fratello che è geneticamente simile (l’hanno usato come campione umano di confronto).

 I gemelli Scott e Mark Kelly
I gemelli Scott e Mark Kelly. Fonte: nasa.gov

Distanza: Marte si trova a milioni di Km dalla Terra, anche quando è più vicino a noi. Con queste distanze gli astronauti devono essere in grado di cavarsela da soli, in ogni senso. Essi devono essere addestrati per fare autoanalisi medica con scanner medicali. Già oggi gli astronauti diretti verso l’ISS devono frequentare e passare esami di medicina per essere pronti alle prime emergenze; in una spedizione di tre membri, due di essi devono essere CMO (Chief Medical Office) in grado di compiere le prime operazioni mediche quali suturare una ferita, estrarre un dente e sistemare una slogatura. Samantha Cristoforetti, per esempio, era uno dei due CMO di missione. Ovviamente nel caso di un viaggio verso Marte, queste competenze non sono sufficienti perché in caso di complicanze o situazioni più gravi ancora oggi non è possibile un intervento chirurgico in microgravità: rimane un problema aperto da affrontare. Un secondo problema a cui vanno incontro gli astronauti dovuta alla distanza riguarda il loro comportamento ed interazioni sociali. Le attuali missioni spaziali, compreso il progetto Apollo, hanno tutte una caratteristica in comune: la Terra è sempre (o sempre stata) ben visibile dall’equipaggio per tutta la missione. Questo ha costituito un punto di riferimento per gli astronauti, facendoli sentire psicologicamente “meno lontani”, avendo la Terra a portata di ore (o pochi giorni) di viaggio. Su Marte la Terra non è più in vista (a meno di confonderla come un puntino appena luminoso nei bluastri tramonti marziani); questo può portare a depressione e senso di smarrimento. E’ un effetto che gli psicologi chiamano “Terra fuori vista”.

La Terra vista da Marte
La Terra vista da Marte dopo il tramonto in un’immagine scattata da Curiosity. Fonte: NASA/JPL

Ambiente chiuso/ostile: in ambiente terrestre sappiamo già cosa può conseguire vivere in un ambiente chiuso: maggior probabilità di trasferimento di malattie e allergie. Possiamo immaginarci cosa succederebbe se una qualunque malattia si diffonde all’interno dell’equipaggio al contatto con gli altri o all’interno di un ambiente alieno come la superficie marziana (sappiamo che a ora, Marte è biologicamente morto, ma non sappiamo come si comporterebbero virus terrestri cresciuti in ambiente marziano). Per analizzare meglio i comportamenti umani e simulare le condizioni di un viaggio/permanenza su Marte, sulla Terra sono nati diversi progetti sotto l’egida di enti spaziali o associazioni no profit (anche di dubbio valore) in stile “Grande Fratello” per modellizzare e analizzare tutti questi aspetti umani. I primi esperimenti sono nati agli inizi degli anni ’90, ad esempio Biosfera 2, son falliti miseramente ma hanno avuto il merito di aver portato alla luce nuovi problemi inizialmente ignorati come la pressurizzazione, perdita di O2 dalla struttura di contenimento, crescita delle piante, …

Fra gli esperimenti portati aventi da agenzie spaziali per esempio, si possono elencare il progetto Mars500 (2007 – 2009) presso Roscomos volta proprio a simulare le dinamiche di un ambiente chiuso e Mars160, una missione di 120 giorni nel deserto dello Utah, dove 7 persone con tute e quant’altro, dovevano affrontare un programma di esplorazione geologica con le stesse condizioni che un equipaggio umano dovrà affrontare su Marte.

Dal 2010 sulla ISS è presente un’apparecchiatura in grado di riciclare H2O.
Dal 2010 sulla ISS è presente un’apparecchiatura in grado di riciclare H2O. Fonte: salon.com

In ogni caso, per affrontare il passo successivo, sarà obbligatorio adottare metodologie di sviluppo sostenibili, quali il riciclaggio e filtraggio dei fluidi (H2O, urina, …), migliorare i sistemi d’isolamento, introdurre tecniche di modularità e ridondanza degli strumenti e ottimizzazione dei materiali (logistica). Si tratta quindi di un continuo impegno di tutti per affrontare nuove sfide.

(continua)

Riferimenti e bibliografia